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L’Italia spende meno che in Europa in formazione

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L'Eurostat boccia le sempre più modeste politiche di investimento degli ultimi Governi italiani per la formazione dei propri alunni e studenti. La spesa in istruzione e formazione, infatti,  misurata in rapporto al PIL rappresenta uno degli indicatori chiave per valutare le policy attuate in materia di crescita e valorizzazione del capitale umano. L'indicatore consente di quantificare, a livello nazionale e internazionale, quanto i paesi spendono per migliorare le strutture e incentivare insegnanti e studenti a partecipare ai percorsi formativi. Nel 2007, l'Istat elaborando dati diffusi dal Ministero per lo Sviluppo Economico, ha stimato l'incidenza della spesa in istruzione e formazione sul PIL pari al 3,7%.

 

I DATI REGIONALI – Negli ultimi anni la quota di spesa in istruzione e formazione in rapporto al Pil si è attestata intorno al 4,0%: nel 2007 ha raggiunto il suo minimo (3,7%). I dati su base regionale circa le politiche a sostegno dell'apprendimento della popolazione e dell'aumento delle conoscenze, fotografano una situazione con molte luci e tante ombre: le regioni del Mezzogiorno, caratterizzate da una maggiore presenza di popolazione in età scolare, sono quelle che investono di più nel settore, arrivando talora a sfiorare quote pari o poco superiori al 6% del Pil tra il 2003 ed il 2007, mentre nelle regioni del centro nord, la spesa in istruzione e formazione supera di poco il 3% nello stesso arco temporale. Nel 2007 Calabria, Sicilia, Basilicata e Campania sono state le regioni con la più alta incidenza della spesa pubblica in istruzione e formazione (tra il 6,2 e il 6,7% del Pil). Nel Centro-Nord, si segnalano le quote di investimento delle province autonome di Trento (5,2%) e di Bolzano (4,7%), molto al di sopra rispetto all'ambito geografico di appartenenza. La maglia nera, invece, spetta alla Lombardia (2,5%), al Veneto, all'Emilia Romagna (entrambe al 2,8%) ed alla Liguria (2,9%).

 

L'ITALIA NEL CONTESTO EUROPEO – gli ultimi dati disponibili riguardano il 2006, indicano che in Europa ogni Stato spende in media per la formazione il 5,1% del Pil (UE27); mentre noi siamo ancorati al 4,7%. Peggio di noi, si posizionano solo Repubblica Ceca, Germania, Spagna, Bulgaria, Grecia, Slovenia, Romania e Lussemburgo. 

I paesi più distanti dalla media comunitaria sono Lussemburgo, Romania, Slovacchia e Grecia, che presentano tutti valori al di sotto del dato medio europeo di oltre un punto percentuale. Tra gli Stati membri che stanziano più risorse, in percentuale del Pil, per l'istruzione e la formazione vi sono alcuni paesi nordici: Danimarca (8,0%), Svezia (6,9%), Finlandia (6,1%) e Cipro (7,0%) superano di oltre un punto percentuale il valore medio europeo.

La comparazione è realizzata dagli statistici ed economisti Eurostat prendendo in considerazione tutti i livelli di spesa pubblica: a livello locale, regionale e nazionale. Oltre all'analisi delle scuole ed università pubbliche, dunque, sono considerati anche i valori relativi a tutte le altre istituzioni impegnate nel sistema formativo nazionale (ministeri, dipartimenti della pubblica istruzione e ricerca). Il valore che emerge da questa analisi va ritenuto pertanto molto attendibile nel fotografare il quadro formativo nei diversi stati.

Un altro parametro degno di nota relativo al mondo della formazione riguarda la qualità riconosciuta a livello internazionale. La crisi economica del 2009, la più grave degli ultimi 60 anni ha lasciato il segno anche sulle business school, che hanno risentito del "diretto impatto della crisi sulle scuole", della stagnazione delle iscrizioni e del generalizzato scarso interesse negli investimenti dei programmi personalizzati.

E la qualità della formazione made in Italy trova scarso consenso su scala mondiale: nella classifica  2009 stilata dal «Financial Times» delle migliori università europee per dirigenti si posizionano solo 2 scuole di alta formazione italiane, entrambe milanesi, la Sda Bocconi, in 24esima posizione, perdendo 3 posizioni rispetto al 2008 e ben 5 rispetto al 2007 e la School of Management del Politecnico, che si affaccia in classifica per la prima volta al 50esimo posto, tra le poche "new entry".

In linea generale, nel ranking (dove ci sono 20 paesi) si sono registrati pochi movimenti al vertice e solo 6 "new entry". Questo perché molte aziende, nel 2009, hanno dovuto tagliare i costi e gli investimenti, compresi quelli per la formazione del personale. Per il IV anno consecutivo in testa alla classifica si conferma la Hec (École des hautes études commerciales) di Parigi, seguita dalla London business school, dalla francese Insead e dalla svizzera Imd.

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