I dati dell'export italiano per il 2009, nonostante i timidi segnali di ripresa registrati nel mese di dicembre, fotografano una situazione preoccupante. I produttori di macchine utensili, di macchine per l'edilizia e per la movimentazione delle merci, fiore all'occhiello del made in Italy, hanno chiuso l'"annus horribilis" in profondo rosso, pagando un prezzo pesante in termini di fatturato, esportazioni ed occupazione.
Altri settori produttivi, anch'essi trainanti per la nostra economia, non se la sono passata meglio: abbigliamento, mobili, prodotti in gomma e materie plastiche così come i gioielli sono in picchiata. Sulla gravità di questa congiuntura si è espresso il Prof. Marco Fortis, docente presso l'Università Cattolica di Milano, "è paradossale che questa crisi abbia colpito proprio i settori forti come la meccanica ed i sistemi per la produzione".
Per fortuna migliori, altri settori come l'agroalimentare, il farmaceutico, la botanica, la caldarieria ed il superlusso hanno registrato performances migliori a livello internazionale. Sebbene il calo delle esportazioni nella meccanica e nei sistemi per la produzione ed automazione sia stato consistente, tuttavia, secondo stime della Fondazione Edison, l'export di questi settori non ha mai raggiunto, nemmeno prima della crisi, una quota tanto elevata. E questo ha parzialmente messo questi settori al riparo dalla disfatta, premiando strategie che poco hanno puntato sulla delocalizzazione produttiva o sull'incremento dimensionale: realtà produttive italiane, anche medio-piccole, del settore sono riuscite a mantenere le proprie unità produttive ed i posti di lavoro, diversamente da alcune multinazionali (es. Nortel, Alcoa, ecc.) che hanno già attuato pesanti tagli o stanno per farli.
Sulla scia dei numeri dell'economia italiana, si torna a discutere della validità di un tessuto produttivo ancora popolato di tantissime piccole e medie imprese che, se da un lato hanno retto le ripercussioni di una crisi che ha spazzato via tante grandi realtà produttive, dall'altro continuano a rappresentare un fattore di debolezza strutturale. Soprattutto quando si confrontano con imprese concorrenti straniere sui mercati esteri: "dall'India a Taiwan, dalla Corea del Sud alla Thailandia, l'attacco dei prezzi arriva da tutte le parti" precisa Sandro Bonomi Presidente di Anima, Associazione che raccoglie le imprese meccaniche.
Le difficoltà ad esportare si sono tradotte in un calo dell'export italiano sia in Europa che in Russia, un mercato che, fino a poco tempo fa, era ritenuto in assoluto tra i più promettenti. Le imprese italiane non riescono ad incrementare i flussi commerciali diretti verso Cina, India, Penisola Arabica ed Africa, i nuovi assi del commercio internazionale.
Se questa situazione non dovesse mutare, le prospettive per la nostra economia sono tutt'altro che rosee, anche perché al calo dell'export corrisponde un boom delle importazioni. A dicembre 2009, infatti, mentre si tirava un sospiro di sollievo per i timidi segnali di ripresa delle vendite all'estero, in pochi parlavano delle importazioni che, in quelle stesse settimane, stavano correndo a ritmi ben più serrati.
Una situazione che, per alcuni osservatori, era prevedibile, visto che l'economia italiana è un'economia di trasformazione e necessita di far lievitare le importazioni per tornare a produrre valore e ricostituire le scorte. Ma cosa accadrebbe se continuassimo ad importare più di quanto siamo in grado di esportare? Che assisteremmo evidentemente ad un ulteriore indebolimento della nostra economia.
Il recupero di competitività diventa una priorità per le imprese, come per il Governo italiano, una via di uscita obbligata se non si vuole continuare ad assistere alla chiusura di aziende ed alla perdita di migliaia di posti di lavoro che oggi sono in serio pericolo.
Recuperare competitività è fondamentale se si vuole far salire nuovamente le esportazioni. Un aiuto concreto in questa direzione giunge dal deprezzamento dell'euro che certamente favorisce le esportazioni nei mercati extraeuropei.
L'Italia, però, rivolge molte delle sue esportazioni però a mercati europei, come la Germania e la Francia. Sono questi i mercati in cui le nostre imprese dovrebbero cercare di imporsi con produzioni di qualità, ma competitive sul fronte dei prezzi.
Non è ancora chiaro se la piccola dimensione potrà costituire un vantaggio competitivo o un ostacolo e se le strategie produttive di innalzamento qualitativo, sinora ritenute vincenti, potranno esserlo ancora nei mesi e negli anni a venire.
Di sicuro i mesi che ci attendono saranno cruciali per capire quanto il sistema Italia riuscirà a reggere una situazione che da un punto di vista degli equilibri sociali, economici e politici potrebbe diventare esplosiva.