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Illy punta sull'esclusività e la raffinatezza del caffé

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Secondo il New York Times, prestigioso quotidiano statunitense, a livello mondiale è in atto uno scontro tra le grandi griffes del caffé per assicurarsi quote di mercato sempre più ampie.

I principali protagonisti dello scontro sono da un lato la Starbucks, notissimo colosso americano (nell’America del Nord è una specie di Big Mac della tazzina) che vanta un fatturato di 7,8 miliardi di dollari e conti in crescita nel 2006 del 22% e l'azienda italiana Illy, che conta circa 600 dipendenti ed un fatturato mondiale di 227 milioni di euro.

Il gruppo italiano, secondo la fonte newyorchese, intende aprire 500 nuovi punti vendita 'Espressamente', concepite come vere e proprie “boutique di moda” per gli amanti dell'espresso italiano. I bar 'Espressamente' propongono un approccio estremamente esclusivo e raffinato al caffè, un approccio per così dire alla Gucci: “possono essere abbastanza piccoli – scrive il New York Times – ma con location di primo piano, come quello situato accanto all'Opera Garnier in pieno centro a Parigi. E sono disegnati da architetti italiani di grido”. “Oltre al caffè e a snack italiani – prosegue il New York Times – vendono tazzine e piattini disegnati da artisti contemporanei”.

E il caffé “non e' necessariamente più caro” che da Starbucks.

Di sicuro per gli statunitensi Illy rappresenta un esempio di come il "made in Italy" possa competere con successo sui mercati mondiali. E lo scontro rischia di accendersi ancor più a livello europeo. Nei prossimi 5 anni il gruppo Illy, che genera il 55% del suo fatturato fuori dall'Italia, dovrà tentare di difendere la sua quota di vendite nei paesi dell’Europa Continentale, ricco mercato in cui Starbucks, entrato nel 2001, ha aperto 785 punti vendita in sette diversi Paesi.

La reazione dei produttori italiani alla concorrenza globale si gioca tutta sulla qualità. "I produttori italiani – scrive il NY Times citando anche Lavazza e Segafredo Zanetti – stanno combattendo per posizionarsi come un oggetto da intenditori, molto più di quanto abbiano fatto le catene di coffee shop negli Usa”.

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