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Distretti produttivi, quale futuro?

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Il 5 novembre 2007, si è tenuto un convegno per la presentazione di un’indagine congiunta del Servizio Studi di Intesa Sanpaolo e del TeDis della Venice International University, della durata di tre anni, sullo stato dei distretti italiani.

Il convegno è stato anche l’occasione per discutere la tesi secondo cui si sta passando da un modello di distretto in cui il fattore strategico principale è di carattere collettivo, ad uno invece in cui assumono peso le strategie di tipo individuale.

Filippo Marrazzi, imprenditore specializzato nbella ceramica di Sassuolo ha spiegato che “il distretto è ormai diventato un limite”. Almeno inteso nel senso più tradizionale, ovvero di soggetto avente come compito principale la difesa delle aziende più piccole e deboli. “Mentre la sfida dell’internazionalizzazione si gioca nella tana del lupo, negli Stati Uniti, in Russia. E lì bisogna avere massa critica, essere numeri uno, altrimenti è impossibile pensare di farcela.” Che vada ripensato il ruolo dei distretti produttivi è ormai un dato di acquisito per molti. Quello che si sta affermando nel nuovo mercato globale è secondo Corrado Passera di Intesa Sanpaolo, un “nuovo modello, diverso da quello degli anni 80 e 90”.

Un modello che non deve più limitarsi, come in passato, a proteggere le imprese presenti nel territorio del distretto. Il distretto “tradizionale” basato su fattori “collettivi” come l’equilibrio tra competizione e cooperazione, l’humus sociale, la divisione del lavoro, i bassi costi di transazione, ecc., verrebbe sostituito da uno “nuovo”, in cui la competitività si basa in misura decrescente sui fattori tradizionali e in misura crescente su investimenti e strategie che hanno una natura prettamente “individuale” (o che possono essere effettuati in modo collettivo solo in misura limitata), come la R&S, il marketing, l’ICT, l’internazionalizzazione. Il territorio dovrà fornire in misura crescente competenze di questo tipo per rimanere un fattore competitivo vincente. Il distretto del XXI secolo rispetto al passato sarà probabilmente un po’ meno “puro”, ma comunque più adatto ad affrontare un diverso contesto competitivo. Sarebbe errato pensare questo modello produttivo, che riceve apprezzamenti anche dall’estero, come superato. Giuseppe Morandini, Referente per la Piccola Industria di Confindustria, sostiene che i cinesi mostrano grande interesse per il modello italiano dei distretti. “Alle prese con macrofenomeni come le migrazioni internee la tutela dell’ambiente ci chiedono di importante iil distretto italiano come una nuova forma di sviluppo compatibile. Un’occasione per rafforzare la nostra presenza italiana”.

Il distretto è secondo il Ministro per la Attività Produttive, Pierluigi Bersani, un attore che al momento non richiede interventi governativi specifici. Tutte le imprese, così come anche i distretti, devono investire non solo nell’alta qualità dei prodotti, ma anche nell’innanlzamento della “qualità del processo organizzativo e produttivo. La cartina di tornasole è la capacità innovativa delle imprese che, se vincente, si tradurrà in una forte spinta all’internazionalizzazione”.

E il rafforzamento sui mercati internazionali non è solo una questione di qualità dei prodotti. Lo sottolinea nel suo intervento anche Mario Borselli, Presidente della Camera della Moda, il quale ritiene che le grandi imprese che operano nel comparto abbigliamento oggi fanno molta fatica a trainare anche l’indotto costellato da tante piccole realtà produttive. L’unica strada percorribile “dove non c’è managerialità è cercare di favorire le aggregazioni”, spiega il Direttore del Censis Giuseppe Roma senza ricorrere finanziamenti a pioggia. Le prospettive future per il distretto, quindi, dipendono molto dalla capacità degli attori che vi operano all’interno di rivedere in chiave moderna l’organizzazione del distretto puntando su quelle leve strategiche che la ricerca condotta ha ben evidenziato per un rilancio su scala mondiale.

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