In un’epoca dominata dalla globalizzazione, i piccoli territori sembrano perdere di rilevanza, a meno che non vi siano precise ragioni turistiche che rendano un paese, anche il più piccolo, un luogo noto e rinomato. La crisi economica che ha investito il nostro Paese sembra pesante, ma andrebbe analizzata non solamente sui dati nazionali ma anche alla luce di un’attenta lettura dei dati regionali. L’Italia, non è un mistero, è un Paese che corre a due se non a più velocità. Le differenze regionali esistenti fanno sì che la crisi sia avvertita ed affrontata in maniera diversa da chi vive ed opera in una determinata area. Imprese comprese.
Paradossalmente proprio nell’era della globalizzazione il territorio deve mantenere una sua rilevanza e dinamicità: non a caso di recente si è costituito a Milano il G15, che si affianca al G8 e raccoglie le 15 regioni più dinamiche ed evolute del globo: Lombardia, California che detiene un primato per l' innovazione, la Baviera, l' Ile-de-France, Madrid, San Pietroburgo, l' Illinois, il Nuevo Leon (Messico), San Paolo, Buenos Aires, Gauteng (Sud Africa), Dubai, Shanghai, Singapore e New South Walles (Australia).
Questi territorio insieme rappresentano il 10% del Pil mondiale,circa 5.000 miliardi di dollari.
Si sono messe insieme per “fare rete – come spiega il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni – e dare risposte alla crisi economica globale” perché “il mondo globalizzato – Franco Frattini – deve investire sulle opportunità che offrono le regioni e guarda con attenzione la vivacità e la competenza delle regioni”.
Se volessimo analizzare lo stato di salute delle regioni italiane dovremmo innanzitutto augurarci che vengano superati alcuni limiti legati alla disponibilità di dati aggiornati. La normativa europea prevede che i conti regionali siano resi noti 24 mesi dopo l’anno di riferimento. Nonostante per l’Italia, l’Istat ha accorciato di molto questi tempi, permettendo di valutare senza grandi ritardi tendenze e fenomeni in atto su scala regionale. Ad oggi vi è disponibilità di dati relativi al 2008, laddove, ad esempio, l’ultimo dato del PIL nazionale è aggiornato al III trimestre del 2009.
LA CRISI NELLE REGIONI ITALIANE: analizzando i dati regionali disponibili, è possibile verificare come le regioni italiane abbiano recepito la crisi, come la stiano affrontando e soprattutto con quali esiti. I primi segnali di crisi risalgono al 2007. La crisi è poi proseguita e si è accentuata fino alla recessione del 2008. Il Pil è calato dell’1% a livello nazionale, ma il dato nazionale non rende giustizia alle regioni che hanno saputo dimostrare maggiore dinamismo ed aggressività. Il sostanzioso -3% raggiunto dalla Campania è bilanciato dagli appena 3-4 decimi di punti percentuali nel Lazio ed in Abruzzo. La Lombardia, che da sola rappresenta il 20% del Pil nazionale, ha registrato un calo in linea con il dato nazionale. Proviamo ad andare ancora più indietro nel tempo: nel periodo compreso tra il 2001 ed il 2007 l’Italia cresceva mediamente dell’1,1% annuo, mentre gli incrementi a livello regionale oscillavano dallo 0,5% della Puglia al +1,6% delle Marche. Nel mezzo tra questi due estremi era la Lombardia (+1,2% l’anno).
IL MANIFETTURIERO A LIVELLO REGIONALE: tra 2001 e 2007 il manifatturiero, settore all’occhiello del made in Italy, ha subito un processo di progressivo dimagrimento e rimescolamento. Il valore aggiunto dell’industria manifatturiera italiana è scesa dello 0,2% annuo: il pesante calo registrato in Piemonte (-1,3%) è stato bilanciato dall’aumento (+0,9%) in Lombardia ed Emilia, segno che l’industria italiana sta spostando il suo asse verso Est. E’ inoltre sceso dell’-1,6% nel Lazio ma è cresciuto dell’1,5% nelle Marche. Gli addetti del manifatturiero tra 2001 e 2007 è
– diminuito di 46 mila unità in Piemonte
– cresciuto di 40 mila unità in Lombardia
– è calato di 15 mila unità in Toscana
– è aumentato di 13 mila unità in Emilia Romagna
L’INTERNAZIONALIZZAIONE SU SCALA REGIONALE: anche il grado di internazionalizzazione risulta diverso tra regione e regione. Nel periodo 2001-2007 la quota di esportazioni rispetto al PIL nazionale è salita, passando dal 21,9% al 23,8%. Le regioni italiane più attive dal punto di vista dell’internazionalizzazione risultano Friuli Venezia Giulia (35,1%), Veneto (25%) ed Emilia Romagna (34,4%); diversa la sorte di Calabria, Lazio e Campania, la cui quota di export si attesta al di sotto del 10%.