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Cresce la domanda di servizi

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L’ufficio Studi Confcommercio ha di recente diffuso i dati sul Teriziario, scattando una fotografia importante su uno dei motori dell’economia non solo nazionale, ma dell’intera Area Euro.

Alla presentazione del Rapporto 2007, con dati aggiornati alla fine del 2006, è intervenuto il Presidente di Confocommercio Sangalli, che ha spiegato l’importanza dello studio rivolto ad indagare un comparto dinamico ed in crescita, ma spesso ignorato a livello sia politico che economico.

L’economia dei servizi rappresenta nel nostro Paese il 67% dell’occupazione e il 70% del PIL. Al netto dei servizi pubblici, restringendo il campo al soli comparti del commercio, turismo, trasporti e logistica, servizi alla persona e alle imprese, si tratta di circa il 40% dell’occupazione e del 47% del PIL. Dati importanti che hanno fatto nascere l’esigenza di uno studio approfondito sul Terziario, “per capire meglio cosa sia e cosa rappresenti per l’economia e la società italiana”.

Il terziario è innanzitutto un comparto in crescita, nell’eurozona come anche nel nostro Paese.

Crescono i servizi e si riduce il peso degli altri settori. “Se in Italia – racconta Sangalli – nel 1970, il terziario produceva valore per poco meno di 10 miliardi di euro, oggi questo valore ammonta a ben 600 miliardi di euro. Non siamo, cioè, troppo lontani dal doppio del valore creato dall’industria complessivamente considerata. Oggi, oltre il 51% degli oltre 5 milioni di imprese italiane appartiene al settore dei servizi; oltre il 67% delle nuove imprese sono create nel settore dei servizi”.

Negli ultimi quindici anni nell’area euro i servizi hanno generato 20 milioni di nuovi posti di lavoro. Di questi, 1,8 milioni sono stati sviluppati dal commercio, che insieme agli alberghi e ai ristoranti raggiungono 3,5 milioni di nuovi addetti, pari all’83% degli occupati persi dal complesso delle attività industriali.

I comparti rappresentati da Confcommercio (tutti quelli del terziario, esclusi quelli finanziari e bancari e quelli offerti prevalentemente dalle Amministrazioni Pubbliche) pesano oggi in termini di valore aggiunto quasi per il 47% del totale, contro il 26,5% dell’industria e creano valore per quasi 600 miliardi di euro.

L’occupazione prodotta dall’area servizi di Confcommercio pesa quasi per il 40% dell’occupazione, contro il 27,9% dell’industria, capovolgendo la situazione dagli anni Settanta ad oggi.

“Affinché cresca la produttività dei servizi – è indicato nel rapporto – è necessario effettuare investimenti in istruzione e formazione del capitale umano, vero pilastro di una crescita robusta e duratura”.

Questi i principali dati settoriali nel 2006:
– COMMERCIO: 1milione e 600mila imprese, pari al 26% del tessuto imprenditoriale italiano, oltre 3 milioni e 500 mila unità di lavoro, di cui 1 milione e 792mila alle dipendenze (51% del totale); il settore commercio ha prodotto il 12,7% del valore aggiunto italiano.
– TRASPORTI, COMUNICAZIONI, TURISMO E CONSUMI FUORI CASA: oltre 582.000 imprese, pari al 9,5% del tessuto imprenditoriale, quasi 3,5 milioni di Unità di Lavoro, di cui 1,5 milioni nel settore alberghi e pubblici esercizi, 1,6 milioni nel settore trasporti, magazzinaggio e comunicazioni e 362mila nel settore delle attività ricreative e culturali; i tre settori rappresentano il 13,1 % del valore aggiunto complessivo.
– SERVIZI ALLE IMPRESE: 630mila imprese registrate, pari al 10,3% del tessuto imprenditoriale, oltre 2 milioni e 800 mila unità di lavoro (pari all'11,5% dell'occupazione complessiva); il settore contribuisce per il 20,6% alla formazione del valore aggiunto prodotto dal Paese.

Per continuare a far crescere questo settore, la ricetta proposta da Sangalli si basa su due ingredienti fondamentali:
1. più liberalizzazioni e nuove regole di apertura dei mercati e concorrenza, soprattutto affrontando snodi strategici come quello del riordino dei servizi pubblici locali, dei mercati dell’energia, del rafforzamento della concorrenza nel sistema bancario, della riforma delle Autorità indipendenti e garanti.
2. istruzione e formazione continua delle risorse umane, in grado di impattare e molto sulla produttività totale (si stima da 3 a 12 volte in più rispetto al capitale investito in infrastrutture o in ricerca e sviluppo). Ma gli investimenti in formazione non devono crescere in quantità, visto che non siamo molto al di sotto della media europea, quanto piuttosto in qualità.

In sintonia con le dichiarazioni di Sangalli anche Pierluigi Bersani, Ministro dello Sviluppo Economico, che ha ribadito "attenzione, interesse e dialogo del Governo vero il mondo del terziario”. E ha ricordato che liberalizzare è possibile se c'è un cambio di mentalità. “Cambiare si può – ha affermato Bersanima è molto faticoso perché siamo un Paese molto conservativo che ha l’istinto a chiudersi e che non ha l’idea del collettivo. Se dici a un settore che bisogna cambiare vuol dire che gli vuoi bene. Poi serve un elemento di fiducia e tranquillità che spetta alla politica dare”.

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