In Italia il settore birrario costituisce una ricchezza economica e sociale (fonte: Annual Report Assobirra 2008), arrivando a contare:
– circa 270 fra stabilimenti e birrerie artigianali, dai quali escono circa 300 marchi di birre;
– 130 mila posti di lavoro stimati fra diretti, indiretti e indotto allargato;
– oltre 13,2 milioni di ettolitri annui di birra prodotta (di cui oltre il 10% esportati), i ¾ del totale del consumo interno;
– quasi 70 mila tonnellate di malto, interamente assorbite dall’industria italiana;
– oltre 1 miliardo di euro annui di valore aggiunto per l’economia nazionale.
Il settore rappresenta anche un’importante fonte di reddito per la produzione agricola nazionale: le malterie, infatti, lavorano l’orzo di birra coltivato nel Paese e, in generale, la filiera birraria utilizza ingenti quantitativi di granturco di produzione nazionale, oltre ad essere uno dei maggiori clienti dell’industria italiana del vetro e dell’alluminio.
Negli ultimi anni il settore ha accusato una flessione nella produzione e, soprattutto, nei consumi interni, a causa della crisi economica che ha portato ad un calo generalizzato dei consumi domestici ed extradomestici.
In termini assoluti, gli impianti produttivi ubicati sull’intero territorio nazionale (circa 270 fra stabilimenti industriali e birrerie artigianali) hanno prodotto complessivamente 13.273.000 ettolitri di birra, di cui 1.503.000 esportati (l’11,3%), a fronte di consumi interni pari a 17.766.000 ettolitri, corrispondenti a 29,4 litri pro capite. Percentualmente, quindi, la produzione nazionale è stata pari al 74,7% del fabbisogno interno.
Nonostante la crisi economica in atto, il settore ha saputo reagire piuttosto bene, riuscendo a contenere le perdite di posti di lavoro. Attualmente si contano oltre 17 mila unità fra addetti diretti e indiretti che diventano 130 mila, se consideriamo anche l’indotto allargato. Questo risultato è stato raggiunto grazie all’incremento delle esportazioni che nel 2007 hanno superato, per la prima volta, la soglia del milione di ettolitri e nel 2008 hanno subito una forte accelerazione (+40,73%), cui è corrisposto anche un lieve un calo delle importazioni, scese al di sotto dei 6 milioni di ettolitri.
In questo contesto di relativa tenuta del comparto, si segnala la performance positiva della Birra Peroni che dovrebbe essere riuscita a consolidare la sua presenza all’estero, nonostante il contesto di crisi generalizzata nel quale oggi ci troviamo.
Alfonso J. Bosch, Ceo di Birra Peroni Spa, stima che l’export dovrebbe sfiorare nel 2009 il 14% del fatturato, contro l’11% del 2008, segnale che il piano di sviluppo intrapreso circa un anno fa dall’azienda, sta iniziando a dare primi importanti risultati.
Nel 2009 le vendite di birra, su scala mondiale, sono scese del 5,6%. Peroni Nastro Azzurro, in questo arco temporale, ha registrato una cresciuta rilevante all’estero, soprattutto in Gran Bretagna (+39% nel 2008 e +21% nel 2009).
Il gruppo sudafricano SabMiller, cui fa capo la Peroni, ha già nel suo portafoglio brand molto noti come Miller, Pilsner, Castle. Tra questi vi è anche la Nastro Azzurro, birra premium lager, strategicamente scelta come apripista nella penetrazione di nuovi mercati, come Regno Unito, Australia, Usa, Francia, Spagna e Giappone, persino Russia ed Europa dell’Est. Una decisione che probabilmente deriva dalla consapevolezza che il life style associato al made in Italy costituisce ancora un punto di forza per farsi largo nel mercato mondiale.
Molte birre italiane, in un contesto dominato da fusioni ed accordi per abbattere i costi, facendo leva sulle economie di scala, hanno saputo affermarsi all’esteri: Assobirra stima che rispetto a 4 anni fa vi è stato un aumento del 77%, diventando il comparto un sostegno importante all’economia del Paese.
La Peroni ha registrato tassi di crescita doppi rispetto alla media di mercato, svolgendo un’importante funzione di traino, grazie anche a precise scelte strategiche come quella di rafforzare il rapporto con il territorio: da poco in casa Peroni, infatti, è partito “Nostrano Peroni”, un nuovo tipo di mais non OGM, coltivato in 5 regioni Italiane. “Dal seme al consumatore: la prova che possiamo trovare nuovi assi di sviluppo del prodotto per migliorare la qualità e ribadire il legame con il territorio,” Chiarisce Tommaso Norsa, Direttore Finanziario di Peroni Spa.
Già nel 1963 la famiglia Peroni aveva inserito una percentuale di mais, creando una nuova ricetta per offrire un gusto più ricco ai consumatori portando la birra alla notorietà a New York, Città del Capo ed in altri 21 paesi.
Il legame con il territorio per l’azienda resta un punto di forza anche nel presente. E per stare al passo con i tempi, Peroni partecipa ad un’iniziativa di sostenibilità ambientale, finalizzata a promuovere l’introduzione nel nostro paese il vuoto a rendere. Un comitato ad hoc ha già presentato una proposta di legge, che attende il via libera dal Parlamento.