Un tempo c’erano incendi, furti e allagamenti a mettere a rischio i grandi archivi cartacei, ad esempio quelli delle biblioteche o delle pubbliche amministrazioni. Un patrimonio di dati che, fino ad un decennio fa, erano conservati principalmente su carta.
Oggi, nel pieno dell’era digitale, le moderne tecnologie informatiche stanno rivoluzionando anche i sistemi di archiviazione dei dati. Molti dati ormai viaggiano su supporti digitali, raggiungendo un duplice vantaggio:
– rispetto dell’ambiente con riduzione del numero di pagine
– riduzione degli ingombri.
E’ quindi in atto un progressivo passaggio dall’archivio cartaceo a quello digitale. I grandi enti si sono confrontati certamente con le problematiche connesse alla conservazione di dati che oggi di fatto tendono alla smaterializzazione.
Se lo sono chiesti sicuramente i responsabili della grande Biblioteca Vaticana che si è recentemente impegnata a spendere 50 milioni di euro in 10 anni per digitalizzare circa 80 mila manoscritti e garantire la conservazione permanente dei dati.
Se da un lato l’informatica consente di preservare i dati da danni irreversibili, come quelli che possono derivare da un incendio, grazie a sistemi di back up che copiano i dati in macchine geograficamente distanti tra loro, dall’altro aprono nuove problematiche.
Esiste ad esempio un nuovo pericolo per gli archivi digitali, quello dell’obsolescenza informatica. Pensiamo a quando, ad esempio, si utilizzavano i floppy disk per conservare i dati. Ad un certo punto questi supporti sono stati soppiantati da cd prima e dvd a seguire. Sistemi di archiviazione dei dati che sono stati preferiti per la mole decisamente più elevata che erano in grado di ospitare.
La conseguenza è che, ad esempio, dati presenti su un floppy dimenticato in un cassetto non sono più stati recuperati semplicemente perché i nostri computer oggi non sono più dotati di lettori per floppy disk.
Si comprende quanto la conservazione permanente dei dati, sia prioritaria. E lo diventa ancor di più quando la smaterializzazione coinvolge documenti che devono poter essere consultati a lungo, ad esempio per 100 anni.
E’ il caso ad esempio degli atti notarili: “finora abbiamo conservato una copia cartacea degli atti digitali. Il passaggio ad un futuro paperless sia ancora lontano, ma ci stiamo preparando all’atto pubblico digitale, mettendo a punto un sistema di conservazione permanente per mantenere accessibili i nostri documenti per almeno 100 anni” dichiarano gli addetti ai lavori.
In particolare i notai, in partnership con l’ateneo Federico II di Napoli, stanno optando per un sistema di preservazione basato su open source. La stessa soluzione adottata anche dal Vaticano che vi è approdato dopo un esperimento mal riuscito compiuto una decina d’anni fa insieme all’IBM.
“L’utilizzo di formati proprietari – secondo Luciano Ammenti responsabile coordinamento dei Serviai Informatici della Biblioteca Vaticana – non garantisce contro il futuro: alcuni prodotti tecnologici commerciali hanno un ciclo di vita di appena 5 anni. E l’impiego di formati chiusi potrebbe raggiungere costi inimmaginabili”.
Del resto i processi di digitalizzazione sono costosi e il pagamento di licenze diventerebbe andrebbe a gravare ulteriormente sul committente.
La digitalizzazione è un processo forse irreversibile che può diventare un’opportunità anche per le imprese che la realizzano e che sapranno offrire sistemi in grado di andare incontro alle esigenze dei clienti e offrire solide garanzie di conservazione nel tempo.