Resterà certamente deluso chi, con l'ingresso dei dieci nuovi Paesi nell'Ue, si attendeva un’invasione di operai provenienti dall’est.
Uno studio condotto dalla Commissione Ue, ha analizzato gli impatti che l’allargamento ha avuto nella “vecchia Europa” soprattutto nel mercato del lavoro.
Secondo lo studio, le correnti di lavoratori provenienti dai 10 stati sono state “molto limitate, e non sufficientemente ampie da incidere sul mercato del lavoro Ue e la percentuale di cittadini dei 10 paesi residenti nell'Ue a 15 è relativamente stabile, prima e dopo l'allargamento […]; gli aumenti più consistenti hanno avuto luogo in Gran Bretagna, e soprattutto in Austria e Irlanda”.
L’ impatto sul mercato del lavoro, dunque, può definirsi positivo. I Polacchi, baltici o ungheresi, hanno per esempio reso meno grave “il problema dei colli di bottiglia settoriali” delle economie dei 15, con un contributo “complementare” rispetto ai lavoratori della “vecchia” Europa. Essi suppliscono alla mancanza di manodopera, per esempio nel settore delle costruzioni.
Il rapporto ricorda, infine, che Svezia, Gran Bretagna e Irlanda sono gli unici paesi che, quando e' scattato l'allargamento, hanno deciso di lasciare le porte del proprio mercato del lavoro completamente aperte.
Gli altri 12 paesi hanno invece preferito attivare misure transitorie di contenimento. Anche se manca ancora una decisione ufficiale, Spagna, Finlandia potrebbero ora eliminare tali restrizioni, e anche altri stati sarebbero orientati nella stessa direzione.
Inoltre, una delle ragioni che spiega perché polacchi, baltici o ungheresi sono rimasti a casa è l'andamento delle economie dell'Est: “dalla data dell'allargamento, il mercato del lavoro di tali paesi e' stato positivo, con i tassi di disoccupazione che nella maggioranza dei casi sono diminuiti”.