Oggi più che mai la competitività di un sistema paese risente della capacità di sviluppo tecnologico. E l’Italia in questo campo resta indietro. Con il risultato, abbastanza scontato, di vedere la propria competitività, su scala mondiale, perdere colpi.
I risultati del IMD World Competitiveness Scoreboard
Sono questi gli esiti del World Competitiveness Yearbook, la classifica sulla competitività globale compilata annualmente, sin dal 1989, dall’IMD (International Institution for Management Development), Business School (Svizzera) e “IMD World Competitiveness Scoreboard”.
Ai vertici della classifica troviamo poche novità. Hong Kong e U.S.A svettano in testa a pari merito, seguite da Singapore, Svezia, Svizzera, Taiwan.
Aziende italiane poco tecnologiche
E l’Italia? Il nostro paese perde 2 posti, scivolando in 42esima posizione, dietro Portogallo e Filippine e molto indietro rispetto ad altri paesi europei concorrenti, come Germania (10°) e Francia (29°).
Cosa penalizza maggiormente il nostro Paese? Stando a Stéphane Garelli, managing director del World Economic Forum e direttore de Le Temps, il più diffuso giornale francese in Svizzera e Professore Ordinario della Imd School di Losanna è necessario, per mantenere gli standard di vita attuali, puntare sul rilancio della competitività. Ovvero è necessario agire sul “gap delle Aziende italiane poco tecnologiche”.
“Per l’Italia – spiega Garelli – che come anche altri Paesi europei ha un alto costo del lavoro l’aggiornamento tecnologico è fondamentale. Alti costi del lavoro possono essere giustificati solo da alti livelli di produttività”. Bisognerebbe quindi agire sul fronte delle reti di comunicazione a banda larga e sul rafforzamento delle strutture dagli attacchi informatici.
I freni per l’Italia continuano ad essere quelli di sempre. Il debito pubblico è tra le principali cause dei ridotti investimenti nel Paese. Vi è poi un eccesso di burocrazia che scoraggia le imprese ad avviare processi di innovazione. Paradossalmente oggi sembra quasi che le imprese più grandi, quelle che “pure avrebbero risorse e mezzi per farlo, sembrano ignorare la necessità di investimenti in infrastrutture tecnologiche e lasciano il compito alle modeste capacità delle medie e piccole imprese”.