I cinquantenni sono oggi una grande risorse per il nostro Paese. Detengono competenze e know-how che hanno spesso determinato il successo commerciale del made in Italy.
Oggi il “problema degli over cinquanta” viene spesso letto solo dal punto di vista previdenziale: c’è infatti preoccupazione sul loro pensionamento e sull’incremento di costi, alla luce del progressivo invecchiamento della popolazione italiana.
La situazione di chi oggi ha superato i 50 anni, però, può essere letta da diversi punti di vista: per la prima volta il Boston Consulting Group, in partnership con AIPD (Associazione Italiana dei Direttori del Personale) ha condotto uno studio, denominato “Creating people Advantage”, analizzando un campione di 250 imprese.
Il report ha messo in luce una situazione allarmante: oggi chi lavora in Italia in media si trova nella fascia compresa tra 50 e 65 anni. L’Italia è prima in Europa per anzianità dei propri lavoratori: in quasi tutti i settori l’età media dei lavoratori italiani supera quella dei colleghi che lavorano nel resto d’Europa.
Nel settore dei trasporti e nell’industria, ad esempio, gli over 50 rappresentano oltre il 20% del totale degli operai; nel mondo della sanità e dell’educazione si sfiorano picchi del 35%. Nel 2008 nel pubblico l’età media era di 47,5 anni, uno in più rispetto al 2006.
Nei ministeri l’età media è di circa 50 anni. A livello dirigenziale l’età è ancora più alta: si va dai 52 anni in media per gli enti locali ai 54,7 dei ministeri.
Lamberto Biscarini managing directoir della Boston Consulting afferma che “entro il 2020, senza un netto cambiamento di rotta, il peso dei dipendenti con alta anzianità raddoppierà in quasi tutti i campi. Basta pensare alla Pubblica Amminsitrazione, dove i cinquantenni, che oggi sono 1 su 3, tra 10 anni saranno più della metà”.
Nel giro di qualche anno molti di questi lavoratori over 50 andranno in pensione. La fuoriuscita di tante risorse quasi in simultanea sia dalle aziende che dalla Pubblica Amministrazione potrebbe mettere in serio pericolo le competenze che i lavoratori hanno accumulato negli anni, soprattutto se queste risorse non saranno in grado di compensare la perdita di esperienza.
Ma la compensazione potrebbe avvenire solo assumendo nuove risorse che nel frattempo potranno acquisire competenza ed esperienza: molte imprese nell’ultimo anno hanno dovuto sacrificare le assunzioni, penalizzando i più giovani spesso parcheggiati ai margini del mercato del lavoro, in attesa che si liberi un posto anche per loro.
Al taglio delle assunzioni di nuove risorse si sta accompagnando anche una politica orientata al prepensionamento, uno strumento molto utilizzato dalle imprese italiana per contrastare gli effetti della crisi. Se abusato, questo trumento può determinare problemi organizzativi, docuti alla sottrazione di forza lavoro qualificata, in un contesto di mancanza di ricambio generazionale.
Dal rapporto "Creating people advantage in times of crisis" emerge che l' Italia è terza in Europa per imprese che utilizzano la leva dei prepensionamenti dopo Austria e Spagna e alla pari con l'Olanda. Il 32% delle imprese italiane sta utilizzando o vuole utilizzare questo strumento, contro una media europea del 24%.
Per le imprese italiane, inoltre, il prepensionamento è la V azione per importanza messa in atto per contrastare la crisi dopo
1. il taglio delle assunzioni (50% delle imprese)
2. il taglio dei premi di produzione (47%),
3. la riduzione degli eventi sociali (38%)
4. il ridimensionamento della formazione del personale (35%).
In Francia, invece, i prepensionamenti sono utilizzati dall' 8% delle imprese, mentre in Germania questa azione decima fra le misure più popolari, interessando il 30% delle imprese.
Il problema del ricambio generazionale sembra sottovalutato in Italia, mentre altrove già da tempo si corre ai ripari. In Germania, ad esempio, dove c’è una situazione demografica analoga alla nostra, si stanno attuando dei programmi specifici finalizzati a gestire il rischio demografico. La RWE, colosso dell’energia tedesco, ad esempio, sta attuando una politica di marketing rivolta alle università e per reclutare profili come gli ingegneri, anche andandole a ricercare in mercati adiacenti.
“L’economia occidentale si baserà sempre di più sulle persone, sulle loro qualità e capacità; attirarle e trattenerle in un determinato ambiente sarà fondamentale” conclude Biscarini.
Viene da chiedersi, come mai in Italia il 60% dei Responsabili delle risorse umane continua a pianificare strategie di breve periodo, avendo come orizzonte temporale massimo di 12 mesi. In Italia, se non dovesse mutare nulla, nel 2016 potrebbe esserci una forbice rilevante tra domanda ed offerta, soprattutto per alcuni profili come ingegneri meccanici o ricercatori.
Quando si parla di competitività del Sistema Italia si dovrebbe riflettere anche su questi aspetti. Probabilmente si è ancora in tempo per un cambio di rotta che ci aiuti ad agganciare la tanto attesa ripresa economica.