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L'allarme di Confcommercio: microimprese senza hi-tech

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Agire sul fronte dell'istruzione di base, per aumentare la confidenza con gli strumenti tecnologici da parte dei titolari, e impegnarsi affinché l'offerta di prodotti informatici sia disegnata su misura delle caratteristiche di ogni settore merceologico.

È la richiesta lanciata da Confcommercio per porre un argine allo scarso impiego di hi-tech che affligge le piccole imprese italiane.

Di fronte a una situazione preoccupante, l'associazione ha presentato in un convegno organizzato ieri a Roma un "Manifesto dell'innovazione" per "rilanciare il sistema Paese attraverso la presa di coscienza della crescente terziarizzazione dell'economia italiana".

La richiesta è quella di coinvolgere, con una visione di sistema, istituzioni locali, sindacati, associazioni imprenditoriali e dei consumatori, università e tutto il mondo della formazione.

Nel manifesto si chiede, tra l'altro, lo «sviluppo di tecnologie, come quelle wireless, che creino spazi di mercato» per i piccoli operatori, lo sviluppo di strumenti di e-government a favore delle Pmi e il potenziamento dei programmi di formazione per i piccoli imprenditori sfruttando anche il ruolo strategico delle organizzazioni di categoria.

Nell'incontro, Confcommercio ha anche presentato un'indagine che ha coinvolto più di 3.300 micro e piccole imprese. Il dato che emerge fa riflettere: «l'accesso alle nuove tecnologie – ha spiegato il presidente della Confederazione, Carlo Sangalli – è prerogativa delle medie e grandi imprese». Le ditte individuali (il 62,5% del campione) con almeno un pc sono solo il 66,9%, dato che sale all'83,7% nelle imprese con un numero di addetti tra 2 e 5.

La situazione, comunque, varia da settore a settore. Con un livello più avanzato emergono i servizi e soprattutto il commercio all'ingrosso (hanno almeno un pc l'84,5% delle aziende appartenenti al primo comparto e il 91,8% di quelle del commercio all'ingrosso). Mentre i pubblici esercizi (come bar e ristoranti) e il commercio al dettaglio risultano più arretrati (66,5% e 55,3%).

Per quel che riguarda il divario tecnologico a livello geografico, a una sostanziale uniformità tra Nord e Centro, si contrappone un Sud con una maggiore incidenza di aziende low-tech. Tuttavia, ha spiegato Confcommercio, «non è vero che le aziende del Sud investano sistematicamente di meno delle omologhe del Centro-Nord, ma è vero che il Sud è caratterizzato da una maggiore presenza di aziende individuali operanti nel commercio al dettaglio».

Il fattore "titolo di studio", infine, ha un forte impatto sull'utilizzo di nuove tecnologie: quando il titolare di un'azienda ha la licenza elementare o media, nella metà dei casi gestisce un'azienda low-tech. Inoltre, l'indagine mette in luce come i "low-tech" non sfruttano le nuove tecnologie non perché percepiscano particolari ostacoli, ma perché non sembrano vederne l'utilità. Manca un incontro-confronto adeguato tra domanda e offerta hi-tech.

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