Agli italiani piace moltissimo il calcio. E non è una novità. Ciò che invece inizia a farsi largo come un fenomeno davvero rilevante in termini sia di tendenza che di business è il declino di alcuni sport tradizionali come il ciclismo, il basket ed il volley e la crescita di sport, da sempre ritenuti “minori”, in termini sia di praticanti che di simpatizzanti. E’ il caso, ad esempio, del golf, dello snowboard e, soprattutto, del rugby.
Federgolf indica in circa 64 mila i tesserati che praticano questo nobile sport, precisando che nel 1998 erano 35 mila e che la crescita riguarda, in maniera sostanziamente analoga, sia le donne che gli uomini. Gli juniores si sono triplicati in questo stesso arco temporale, passando da 4.400 a 11.000. Anche il seguito è cresciuto molto: lo share in tv è altissimo e, di conseguenza, è in continuo aumento anche l’interesse e gli investimenti degli sponsor. Un discorso analogo vale anche per lo snowboard che oggi conta 461 mila praticanti attivi, pari al 2,3% degli sportivi italiani. L’indotto generato da questo sport, secondo le rilevazioni AcNielsen per Assosport, supera ormai i 200 milioni di euro l’anno. Si stima che chi pratica questa disciplina spende in media 248 euro. Al business dell’abbigliamento si somma anche quello di corsi, istruttori ed impianti.
Tra tutti gli sport emergenti, il rugby è quello che sta registrando ritmi di crescita davvero importanti. Negli ultimi 10 anni la cifra attiva finale della nazionale italiana è passata da 8 miliardi di lire a quasi 38 milioni di euro. Nel 2007 la coppa del mondo ha generato un surplus di oltre 140 milioni di euro, mentre il 6 Nazioni, torneo che coinvolge oltre al nostro Paese anche Inghilterra, Irlanda, Francia, Galles e Scozia e si svolge nelle capitali di questi 6 stati, ha raggiunto nel 2009 1.054.654 milioni di spettatori.
L’impatto economico di questo sport (vendita biglietti, viaggia aerei, cibo, bevande, alloggi, merchandising, sponsor e spese di marketing) è stato complessivamente di 465,43 milioni di euro, 30 milioni in più rispetto all’anno precedente (fonte: ricerca commissionata al Centre for the International Business of Sports da Mastercard uno degli sposnor del Six Nation Championship). Il giro d’affari del rugby italiano è di 37,71 milioni di euro, una somma importante nonostante il nostro paese sia ultimo per business tra i partecipanti al 6 Nazioni: in testa c’è l’Inghilterra seguita da Irlanda, Francia, Galles e Scozia.
I giocatori tesserati sono raddoppiati in soli 10 anni, passando da poco più di 30 mila ad oltre 65 mila e dovrebbero raggiungere, a fine 2010, gli 80 mila iscritti. Le squadre sono, anch’esse, aumentate parecchio: si è passati dalle 548 del 2000 alle 1024 di oggi.
La Federazione Italiana Rugby (FIR) ha un giro d’affari che sfiora ormai i 90 milioni di euro ed ha un bilancio che è secondo in valore solo al calcio. A far lievitare le entrate sono soprattutto gli sponsors: la nazionale ne aveva 5 nel 2000, mentre oggi se ne contano 43, di cui 18 sponsor economici, 5 media partner ed il resto istituzionali. Uno sponsor per diventare tale deve versare almeno 200 mila euro l’anno. In media gli sponsors ne versano 300 mila euro.
“L’indotto generato dal 6 nazioni è a dir poco esaltante. Per ogni partita arrivano a Roma almeno 7mila tifosi stranieri” racconta Mauro Antonelli, dell’Ufficio Marketing Fir. Con vantaggi per tutti coloro che si occupano a vario titolo di accoglienza turistica.
Che sarà o meno l’erede del calcio, il rugby è uno sport nobile che ha avuto il merito di proporre un modello di gioco positivo, basato su lealtà, spirito sportivo e serenità, valori che un tempo appartenevano al calcio ma che i recenti scandali di calcio poli hanno seriamente messo in crisi. E che oggi si configura come un business sempre più promettente, con prospettive per gli operatori che sono coinvolti, a vario titolo, estremamente interessanti.